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Quindi, adesso, gli Oklahoma City Thunder sono una contender?
Dopo una grandissima stagione da primo posto in una selvaggia Western Conference, chiusa a ben 57 vittorie e interrotta solo dall’uscita al secondo turno contro i Dallas Mavericks poi arrivati alle NBA Finals, i giovanissimi Oklahoma City Thunder sono pronti a rifarsi sotto, questa volta con intenzioni ben più serie.
La squadra è infatti la più giovane della NBA, con i suoi 24.5 anni di età media, ha un coach appena 38enne che alla sua prima stagione da tecnico principale su una panchina ha vinto il premio di allenatore dell’anno e margini di miglioramento infiniti. Ampliati, tra le altre cose, da una marea di first-round pick a disposizione e da un’ottima offseason, con prese marginali ma importantissime. Per quanto il futuro possa sembrare roseo, però, i Thunder si possono considerare una contender? Possono portare il primo titolo in Oklahoma dopo il trasferimento da Seattle di 17 anni fa? Facciamo un paio di considerazioni.
Contender: perché sì…
Partiamo intanto dalle aggiunte. Lo scarto principale rispetto alla passata stagione riguarda la risoluzione delle debolezze emerse ai Playoffs: alcuni problemi di taglia e stazza sotto i tabelloni nella metà campo difensiva, assenza di spaziature in quella offensiva. Per quanto riguarda il primo punto, la firma di Isaiah Hartenstein – battendo la concorrenza dei New York Knicks – è un’ottima risposta, trattandosi di un centro versatilissimo, capace di impiegare moltissima energia in uscita dalla panchina ma di chiudere anche le partite. Non ha raggio di tiro, ma le sue doti da passatore possono permettergli di essere usato come connettore anche fuori dalla linea del tiro da tre punti, mentre difensivamente i suoi compiti consisteranno nell’opporre chili ai post-bassi avversari, di cambiare su tutto all’occorrenza e di agire da rim protector secondario – soprattutto se affiancato a Chet Holmgren, con il quale potrebbe avere buona affinità. Se l’affidabilità di Hartenstein non si mette in dubbio, quella di Alex Caruso è ancora meno questionabile. La sua aggiunta tramite trade con i Chicago Bulls risolve uno dei problemi principali palesatisi ai Playoffs, e cioè l’impossibilità di tenere in campo Josh Giddey in una squadra con queste caratteristiche. L’australiano ha forse ancora un futuro nella Lega, è un buon playmaker, ma il suo fit in una squadra con stelle dal basso volume al tiro pesante stava diventando problematico, soprattutto da quando le difese hanno cominciato a battezzarlo in maniera sistematica chiudendo linee di penetrazione e di passaggio, fatta eccezione per il kick verso il suo angolo, dal quale tira con percentuali non sufficienti nonostante i chilometri di spazio. Caruso, dal canto suo, è un tiratore dal 38% da tre punti in carriera, capace di convertire con continuità in spot-up su assist del creator principale; rispetto a Giddey, inoltre, aggiunge ulteriore qualità difensiva sulla palla difficilmente pareggiabile, dal momento che si parla di uno dei migliori difensori sul “punto d’attacco” (sul miglior creator avversario palla in mano) della Lega. Un giocatore più complementare e più pronto, insomma, vista anche l’esperienza ai Playoffs in una squadra da titolo come i Lakers del 2020.
Oltre a questo, i Thunder hanno accumulato anche 16 first-round pick future da impiegare in ulteriori scambi e All-In da tenere d’occhio persino a stagione in corso, qualora iniziasse a esserci la percezione di poter puntare seriamente al bersaglio grosso. Già da questo Draft 2024, inoltre, sono arrivati un paio di rinforzi come Dillon Jones e soprattutto Nikola Topic, prodotto di Mega Basket con esperienza allo Stella Rossa pescato con la #12, che potrebbe far benissimo fin da subito.
Ma al di là dei rookie, delle aggiunte e delle proiezioni future, le fondamenta erano già molto solide a fine anno. Si prenda Shai Gilgeous-Alexander, candidato serissimo all’MVP, che ha viaggiato a oltre 30 punti di media tanto in regular season quanto ai Playoffs, dimostrandosi già primo violino perfetto per una contender a 26 anni, nel pieno della sua carriera: la sua leadership è perfetta per un gruppo giovane ma già temprato dal fuoco della post-season, che potrà contare su un anno in più di esperienza. Jalen Williams, terzo violino a tutti gli effetti, ai Playoffs ha faticato ma si trattava di una prima volta; Chet Holmgren, allo stesso modo, ha potenziale per diventare il miglior giocatore a roster nel giro di un paio di stagioni, trattandosi dell’archetipo probabilmente più impattante del momento difensivamente, dotato allo stesso tempo di raggio di tiro, anche dal palleggio – molto affine a Victor Wembanyama. Senza dimenticare che l’ex Gonzaga era reduce da una stagione intera di stop per infortunio, che vuol dire necessità di maggior tempo per adattarsi al condizionamento NBA.
Questo mix perfetto di giovani talentuosi già esperti, asset infiniti e innesti prontissimi per obiettivi importanti nel presente non può che far ben sperare.
… e perché no.
Per quanto possa sembrare tutto rose e fiori, però, il presente dice che si tratta del periodo storico peggiore per trovarsi nella Western Conference. La regular season dovrebbe essere abbastanza agevole per un nucleo così giovane e profondo, ma cela diverse insidie nuove: al di là delle prime 8 della passata stagione, nella lizza per i Playoffs ci saranno anche i Memphis Grizzlies, reduci da una stagione infernale in termini di infortuni, ma che nel 2022/23 hanno chiuso a 51 vittorie, dopo le 56 dell’anno precedente. Gli Houston Rockets, allo stesso modo, sono molto promettenti dopo le 41 vittorie della passata stagione, cifra che nella Eastern Conference li avrebbe proiettati al 9° posto ma che non è stata sufficiente per il Play-In a ovest, giusto per intenderci. E potremmo aggiungere gli Spurs con un Wembanyama più pronto e Chris Paul, per quanto invecchiato, e i soliti Clippers, Warriors, Kings etc. nonostante le battute d’arresto della passata stagione. Questo non per dire che OKC non arriverà ai Playoffs o che potrebbe far peggio di queste squadre, ma che semplicemente non ci sono partite “cuscinetto” alle quali appigliarsi, pertanto basta un passo falso o un colpo di sfortuna per trovarsi in una situazione complicata o a dover impiegare più effort del previsto.
E risparmiare energie in ottica Playoffs è fondamentale, visto che questo nucleo è perfetto per la regular ma un po’ corto per la parte successiva. Caruso e Hartenstein daranno una mano in più ma, a parte loro e i 3 giocatori di punta, restano il sophomore Cason Wallace, il tiratore Isaiah Joe e lo specialista difensivo Aaron Wiggins, 3 nomi che hanno fatto molto bene ma tutti con limiti particolari nell’una o nell’altra metà campo. Per non parlare del fatto che sì, un anno di Playoffs aiuta tantissimo, ma si parla comunque di giocatori davvero “alle prime armi” quali Jalen Williams (23 anni ma solo 2 nella Lega) e Chet Holmgren (22 anni) a dover fare rispettivamente da terzo e secondo violino in una contender. Oltre ovviamente a tutti gli altri giovani. Quei 24.5 anni di media, insomma, sono impressionanti in relazione ai risultati raggiunti, ma denotano anche una mancanza di esperienza piuttosto lampante.
Perché crederci: i suggerimenti
Di pro e di contro se ne trovano a bizzeffe, ma la verità è una. Nessuna squadra a ovest è assemblata così bene per poter reggere agli urti della regular season, anche in caso di problemi incidentali quali infortuni o gare “sfortunate”, e questo può fare tutta la differenza del mondo in termini di piazzamento. Con un livello così alto diffuso fino alla 12/13esima squadra di Conference, avere accoppiamenti facili dopo una stagione di buon livello può aiutare moltissimo sia a scansare ostacoli complicati già dal primo turno, sia – di conseguenza – a non compromettere l’integrità fisica dei giocatori di punta, che avranno più minuti. Per queste ragioni, consigliamo su Better questo antepost:
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