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Analisi Nba: Warriors - Lakers
Venerdì 23 Febbraio

Analisi Nba: Warriors - Lakers

Golden State Warriors - Los Angeles Lakers: analisi della partita della notte

 

 

“Ehi tu delusa, che cosa vuoi che sia una scusa”. Tocca scomodare una canzone di Vasco Rossi per parlare di Golden State-Los Angeles Lakers della scorsa notte. La sfida tra deluse di questa stagione regolare: due franchigie ambiziose e gloriose con fenomeni epocali come Steph Curry e LeBron James come emblemi, eppure rispettivamente, senza giustificazioni legittime, decima e nona in classifica nella Western Conference. A oggi sarebbero addirittura costrette a inseguire i playoff passando dall’anticamera del play-in, tra l’altro incrociandosi e quindi una delle due sarebbe per forza tagliata fuori. Hanno però tempo per risalire: il play-in partirà il 16 aprile, i playoff il 20 aprile e ci sono almeno 25 partire per entrambe – i Lakers sono 30-27 di record, i Dubs 28-26 - per correggere la rotta. Certo il sesto posto a Ovest, l’ultimo buono per l’accesso diretto ai playoff, è lontano tre partite e mezza e hanno davanti 3/4 squadre. Insomma, serve un’accelerata. I Warriors stanno già cambiando marcia: la vittoria 128-110 del Chase Center sulla squadra della città degli angeli è la nona ottenuta nelle ultime undici partite giocate. Stavolta hanno allungato a fine secondo quarto e poi non c’è più stata partita. Tanto a poco, per i Lakers si è fatto tardi presto a San Francisco, gli ultimi 5’ li hanno giocati le riserve. Insomma, per i Dubs ci sono segnali di risalita, nonostante la prolungata assenza di Chris Paul e quella congiunturale di Garay Payton Jr. I Lakers invece hanno vinto 6 delle ultime 10 partite disputate, sono ancora troppo alterni. Stanotte non ci hanno proprio messo mano, nonostante un buon Anthony Davis, ma mancava per infortunio LeBron James, il succo è tutto qui. Però hanno già dimostrato al In Season Tournament, la neonata coppa Nba, trionfando a Las Vegas, di saper “pesare” l’importanza delle partite, la capacità di tirar fuori l meglio quando serve di più. Per cui sinora deluse, sicuro, ma non affrettatevi a scommettere contro queste squadre. Piene zeppe di veterani e poi contro LeBron e Curry ai playoff e a maggior ragion, al play-in, in serie o partita secca, con la stagione in bilico, non vuol giocare nessuno. Proprio nessuno.

 


GOLDEN STATE COSA VA 

 

Curry. Lui va sempre, funziona sempre. Anche quando attorno tutto sembra andare in rovine e la dinastia Warriors mostra rughe preoccupanti. Steph imperversa a 28 punti di media per partita in stagione, tirando con oltre il 46% dal  campo, oltre il 42% da 3 punti, oltre il 92%ai liberi. Un mostro, nonostante i quasi 36 anni, li compirà a marzo. Diverte e si diverte. Il filotto di successi è stato scacciapensieri, è sembrato leggero e felice, sul parquet. Ha segnato i primi due canestri dei suoi, due triple naturalmente, poi ha esibito un assist dietro la schiena per la schiacciata di Wiggins. Ha chiuso con 32 punti, 6 triple a bersaglio e una pietra miliare ulteriore nel suo lascito cestistico per i posteri: ha toccato i 6.000 assist. Di fianco a lui funzionano bene un paio di giovani promettenti. Anzitutto la matricola, il rosso Brandin Podziemski, guardia da Santa Clara University promosso da Coach Kerr addirittura in quintetto a discapito di Klay Thompson: se non è un’investitura questa…E poi Jonathan Kuminga, che finalmente al terzo anno nella lega, dopo tanti dolori di crescita sta finalmente svoltando: “solo” 12 punti stanotte, sotto media, lui e il “polacco” assicurano la doppia cifra realizzativa, ma aveva contro le tenaglie di Davis. Ha solo 21 anni, rispetto a Podziemski è meno solido come fondamentali, comprensione del gioco e costanza, ma certo ha più potenziale. Atleta supremo. Tra le buone notizie nella Baia californiana c’è pure quella dell’ormai imminente rientro di Paul il cui recupero è quasi ultimato. Porterà ordine, leadership, ridurrà le palle perse, storico tallone d’Achille della versione Splash Brothers dei Warriors. Ah, contro i Lakers un’altra matricola, Jackson-Davis, ha fatto pentole e coperchi, segnando 17 punti con 5 rimbalzi di contorno. Non è la regola, ma è gregario con tuta blu da operaio specializzato nel lavoro sporco sotto canestro. Utile.

 


GOLDEN STATE COSA NON VA 

 

Thompson è doloroso da osservare di questi tempi. Il crepuscolo di un campione è spesso una Via Crucis, mai come nel suo caso…Tira dal campo col 41.7%, la peggior percentuale di carriera in Nba, da 3 punti col 37.2%, la peggior percentuale di carriera. Stanotte ha sbagliato i primi 3 tiri presi, ormai non fa più notizia. Non è che abbia ampliato il suo gioco offensivo, in alternativa: il rapporto assist/palle perse è 2.3/1.5: terrificante per un esterno. Ha sempre dentro l’orgoglio del campione e in canna la partita singola in cui può tornare quello dei “vecchi tempi”, ma la continuità su grandi livelli sembra ormai un malinconico ricordo. Dray Green è sempre prezioso, ma anche sempre in bilico tra quello che procura una crisi di nervi agli avversari oppure ai suoi allenatori: è un lancio di monetina. E a quasi 34 anni certo sembra più vecchio di Curry per vitalità e dinamismo. Gary Payton Jr stavolta era assente perché ammalato. Ne ha sempre una, non c’è verso di vederlo sul parquet con continuità, e dire che la sua difesa sarebbe imprescindibile per una squadra con appena il 20mo rating difensivo, tra le 30 contendenti Nba. 

 


LOS ANGELES COSA VA 

 

Contro i Warriors ha funzionato pochino, per non dire quasi nulla. I gialloviola sono stati a contatto sino a 5’ dalla fine del 2° quarto, poi si sono inabissati. Avanti di un canestro ancora sul 48-46, sul piazzato a segno di Austin Reaves, poi un black out, definitivo. Si è salvato solo Davis: 27 punti, 15 rimbalzi, 3 stoppate e la criptonite per disinnescare Kuminga. Però a livello di tendenza ci sono altre buone notizie: anzitutto il recente arrivo di Spencer Dinwiddie dal mercato degli svincolati. Ha scelto i Lakers rispetto ai Mavericks perché li ha immaginati più ambiziosi nell’immediato, a torto o ragione. Non è che sinora in uscita dalla panchina abbia entusiasmato, appena 5 punti a tabellino stanotte, ma sicuramente allunga le rotazioni subito e in prospettiva, quando si sarà calato appieno nella fisionomia tattica dei lacustri. Poi D’Angelo Russell da anno nuovo, nel 2024, si è “svegliato” quando ha sentito “puzza” di scambio. Si è ricordato di saper giocare a pallacanestro appena ha avuto il sospetto che i Lakers volessero disfarsi di lui e spedirlo in qualche franchigia in ricostruzione, condannandolo all’oblio. Non sarà mai il fenomeno che era immaginato da scelta n.2 del Draft 2015, non è certo regista cerebrale, ma c’è un giusto mezzo rispetto alle controprestazioni del suo pessimo avvio di stagione. E poi, a livello di buone nuove, c’è che i Lakers giocheranno 8 delle prossime 10 in casa. Sono 19-9 di record di fronte al proprio pubblico, campeggiano in lunetta. 

 


LOS ANGELES COSA NON VA 

 

Sono ancora e sempre la squadra che va dove la porta LeBron. Ed è troppo poco, riduttivo, se si considera che James ha 39 anni. Tra l’altro i tifosi gialloviola si inviperiscono, ed è difficile dar loro torto, quando lo vedono in campo all’All Star Game a Indianapolis e poi saltare la ripartenza Lakers a casa Warriors per un acciacco alla caviglia sinistra. L’impressione è che in questo ultimo stadio di carriera pensi più al business personale che ai successi di squadra. I Lakers non sono poi ben allenati, e probabilmente è un eufemismo. Darvin Ham sembra perso senza LeBron da allenatore in campo: stanotte post partita si è lamentato perchè Davis ha perso la voce, riducendo così la comunicazione difensiva, ma semmai dovrebbe essere lui a sbraitare ai suoi quando non difendono come contro Curry, a chiedere e pretendere di più, a ricordare l’urgenza di successi. Carisma zero. Rui Hachimura è irriconoscibile rispetto a quello ammirato la scorsa post season e Jaxson Hayes è fin troppo riconoscibile; i progressi auspicati non si vedono neppure col cannocchiale. Christie sembra ancora leggero come consistenza, da regista di riserva. Insomma, i giovani non crescono come era lecito sperare, ci devono pensare i veterani. Specie quello con la barba lunga e col numero 23. I Lakers sono LeBron dipendenti. 

 

 

Riccardo Pratesi

Twitter: @rprat75


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