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Analisi Nba: New York Knicks - Denver Nuggets
Venerdì 26 Gennaio

Analisi Nba: New York Knicks - Denver Nuggets

New York Knicks - Denver Nuggets: analisi della partita della notte

 

Tanto a poco. Una ripassata pesante quella che i New York Knicks hanno inferto la scorsa notte ai campioni in carica Nba, i Denver Nuggets. Avanti subito 15-10 e 25-10, già irraggiungibili all’intervallo sul 62-41, finale di partita con le riserve in campo e un 122-84 a tabellone che fa sensazione. Cos’è successo? Anzitutto i Knicks sono in crescita repentina, sempre più una squadra a immagine e somiglianza di Coach Thibodeau, dunque pericolosa, specie in casa. E poi i Nuggets hanno mollato la gara quando hanno visto che non era serata, al termine di un logorante giro di trasferte, incastro scomodo tra le 82 partite di stagione regolare. La verità va cercata nel mezzo, dunque. La partita racconta più dei Knicks, in positivo, di quanto faccia dei Nuggets in negativo. New York grazie allo scambio per OG Anunoby si è attrezzata per un salto di qualità, probabilmente non ancora sufficiente per puntare al titolo, ma passo avanti evidente per sperare legittimamente di fare strada ai playoff. Sulla controprestazione di Denver occhio a non farsi prendere la mano dalla sensazione del momento: sì, i ragazzi di Coach Malone hanno fatto schifo, ma l’Nba è una maratona, non uno sprint. Conta centellinarsi, arrivare sani e in forma ai playoff e tirare fuori il meglio quando conta. E i Nuggets, se mettono a posto la panchina, ora improponibile, possono farlo sino anche a confermarsi campioni. Semmai è arrivata la conferma che per nucleo base non sono feroci, non hanno l’istinto del predatore. Normale: ogni grande squadra prende le sembianze del proprio capobranco, del miglior giocatore, e Nikola Jokic non è Novak Djokovic da questo punto di vista. Fenomeni sportivi serbi, ma con un’ossessione per la competizione ben diversa. Il Joker domina perché si diverte e lo sa fare, Nole anche per il gusto di sbranare l’avversario. A meno che non si chiami Sinner, di questi tempi, allora diventa dura anche per lui…

 


NEW YORK COSA VA 

 

 Beh, parecchio. Sono 11-2 di record dallo scambio che ha portato Anunoby nella Grande Mela rinunciando a Quickley e soprattutto a Barrett che per caratteristiche non piaceva a Thibodeau. Jalen Brunson stanotte ha fatto di tutto a Caldwell-Pope, uno dei migliori difensori perimetrali della lega eppure costretto a rincorrerlo senza speranza in giro per il campo. Piu di qualcuno lo avrebbe voluto titolare all’All Star Game, invece gli è stato preferito Dame Lillard dagli appassionati rispetto al voto dei media, degli addetti ai lavori. Lo giocherà da riserva. Probabilmente come Julius Randle che per tipologia di gioco è nato per dividere: difensore così così, ai playoff sinora disastroso, ma in stagione regolare in attacco è un traino di lusso, indubitabilmente. Però l’uomo che ha fatto svoltare i Knicks è appunto Anunoby: non tanto come valore assoluto, anche se contro i Nuggets è stato occasionalmente miglior marcatore dei suoi con 26 punti, quanto come tassello del puzzle Knicks. La fotografia di cosa porta alla causa è il passaggio di Jokic intercettato e il contropiede concluso con appoggio a canestro più fallo subito: questo gli viene chiesto. Fare la differenza su quella metà campo ed essere complementare nell’altra. Thibs è allenatore difensivo dai tempi in cui orchestrava da specialista la difesa di Boston, da quelli da capo allenatore di Chicago: le sue squadre più riuscite sono così e con Brunson e Randle attaccanti migliori di quanto difendano aveva bisogno di una terza stella da maniche rimboccate sull’altro lato del parquet. Trovata. Alla identità più bilanciata e difensiva rispetto al passato si aggiunge la chimica azzeccata di squadra, la sintonia: Brunson è il mio miglior giocatore? Gli metto vicino due ex compagni di squadra del college, vincenti con lui per Villanova, l’ateneo di Philly. E così ecco arrivare prima Hart e poi Big Ragu DiVincenzo che stanotte oltre a muovere la retina con le triple ha pure esibito un floater a centro area da stropicciarsi gli occhi. Rinfrancato rispetto agli stenti in California in maglia Warriors. Cosa non fa la fiducia, a New York parte titolare…A New York poi mancavano gli infortunati Robinson (operato a una caviglia, dovrebbe rientrare prima della fine della stagione regolare) e Hartenstein (caviglia sinistra, nulla di grave), i centri. Immaginatela al completo, con le stoppate del primo e la qualità di passaggio del secondo…

 


NEW YORK COSA NON VA 

 

Per la partita specifica quasi nulla. Sì, il malcapitato Jericho Sims, il quarto centro, schierato titolare per contingenza, è stato fatto a pezzettini di Jokic: non ha fatto vedere nulla di rilevante a parte la chioma. Ma già Achiuwa dalla panchina “il suo” lo ha fatto, inteso come rimbalzi e protezione del ferro. In assoluto gli interrogativi sono altri. Puoi vincere ai playoff con Brunson come primo violino? Il regista figlio d’arte ha già giocato una finale di Conference, ma con Dallas da spalla di Doncic. Insomma, altrove e con un ruolo ben diverso.  Thibodeau poi è allenatore che alza la base di ogni squadra, ma che oltre un certo livello di qualità di risultati e gioco offensivo storicamente non riesce a salire, stavolta saprà andare oltre? E comunque la concorrenza a Est è tosta con Milwaukee, Boston e Philadelphia di gran livello e Miami che non va mai sottovalutata. Chi può battere tra queste New York, 28-17 di record oggi, in una serie? Infine per scherzarci su: proprio non va come era vestito Hartenstein in panchina stanotte, pareva in pigiama. Inguardabile come la versione Nuggets di serata…

 


DENVER COSA VA 

 

Passaggi dietro la schiena, giravolte e piroette in post basso, triple a bersaglio, alley oop coreografici, insomma in vetrina ha messo per l’ennesima volta tutto il repertorio offensivo. Jokic, il Joker, si diverte e diverte. Persino in una serata così. Segna 31 punti tirando 13/18 dal campo, ci aggiunge di contorno 11 rimbalzi, segna fuori equilibrio, ha visioni di gioco poetiche. Se non basta per conquistare l’Mvp della lega deve esserci un errore di sistema, per forza dai. I Nuggets sono 31-15 di record, “comodi” terzi a Ovest dietro le rivelazioni Oklahoma City e Minnesota, ma davanti a altre squadre esperte e forse più temibili guardando avanti, Los Angeles Clippers e Phoenix Suns. Il quintetto Murray-Caldwell Pope-Porter-Gordon-Jokic quando gira al meglio non teme rivali. L’allenatore è eccellente. Aver già vinto toglie la pressione di dosso, i Nuggets sanno come si fa. Insomma, ogni tanto sbracano a livello di concentrazione e difesa, ma sono peccati veniali. L’altro punto a favore sono le gerarchie chiare: Jokic l’uomo franchigia, Murray il secondo, Porter il terzo terminale offensivo, Gordon e KCP i difensori specializzati. Aiuta, come bussola di riferimento, quando c’è tempesta, là fuori. 

 


DENVER COSA NON VA

 

 La panchina è da Candid Camera. Bruce Brown e Jeff Green, le riserve chiave della passata stagione, se ne sono andate e non sono state sostituite. Il vecchio Reggie Jackson al Garden ha litigato col canestro, però ha sostituito in modo più che decoroso Murray, quando è mancato. Ma fruga, fruga, su quella panchina, guardando sopra, sotto e in ogni dove, Coach Malone non trova altro, come certezze. Christan Braun è ancora da lavori in corso: una mano la dà, ma se gli chiedi troppo “sballi”. Peyton Watson ha potenziale atletico maledettamente intrigante, ma per ora è un “vorrei mai non posso”. Ha bisogno di tempo e invece i Nuggets di vincere subito. Insomma, servono rinforzi dal mercato. Almeno un paio di giocatori per integrare la rotazione senza dover spossare sempre gli stessi o in alternativa perdere partite possibili. Se poi vogliamo trovare a Denver una carenza strutturale oltre la poca profondità diciamo che manca di intimidazione sotto il proprio canestro. Jokic è un gigante, ma certo non un grande atleta o un difensore d’elite in quota e come rimpiazzo c’è DeAndre Jordan che ha l’età dei datteri. Ecco, prima dell’8 febbraio, data di chiusura degli scambi o prima dello stop al mercato dei buyout servirebbe un centro di riserva che salti e difenda, perlomeno. Si può fare, ma va fatto. Perché il problema c’era già in estate, eppure è ancora lì. Irrisolto.

 


Riccardo Pratesi

Twitter: @rprat75


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