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Analisi Nba: Jazz - Spurs
Lunedì 26 Febbraio

Analisi Nba: Jazz - Spurs

Utah Jazz - San Antonio Spurs: analisi della partita della notte

 

Due modi diversi per ripartire. Seguendo una stella polare luminosa o un firmamento più completo, ma meno abbagliante. San Antonio e Utah hanno premuto il tasto dell’autodistruzione nel recente passato e stanno provando a ricostruire i successi di franchigia dalle fondamenta. Gli Spurs hanno avuto la fortuna di vincere la Lotteria l’anno di Victor Wembanyama e sono andati all in sul gigante francese, nuova pietra miliare della squadra della città dell’Alamo. La bussola, il riferimento e la direzione, ma la distanza da una parvenza anche solo di competitività si misura in galassie. Un puntino lontanissimo, per ora. I Jazz hanno ridotto i dolori di crescita non perdendo la rotta verso la competitività anche se fanno un passo avanti e uno indietro, a livello di successi immediati, navigando pure a vista. Ai tifosi non offrono lo spettacolo di un giovane fenomeno potenzialmente epocale, ma quello di un gruppo di giovani in parte già svezzato e in parte bisogno di una baby sitter. Coach Hardy si districa nel sentiero verso la rinascita tra i dolori di crescita e soddisfazioni immediate. 
Ecco, lo scontro diretto di Salt Lake City è stato fotografia del diverso stato delle cose: Utah ha vinto tanto a poco, dominando una partita finita 128-109. I Jazz sono in corsa per il play-in, anche se è più corretto scrivere di rincorsa, con davanti corazzate quantomeno di nome, se non per adesso di fatto, come Warriors e Lakers. Gli Spurs montano highlights di Wemby da vendere come marketing al pubblico e camuffare una realtà di risultati terrificante persino oltre le già misere aspettative. Serve pazienza, quella di Giobbe per adesso. I conti dei diversi approcci di ripartenza si faranno nel medio termine, vedremo chi avrà l’ultima parola. Certo che i ricordi di Malone e Stockton da una parte e di Duncan e Ginobili dall’altra e forse persino della doppia coppia Mitchell-Gobert e Aldridge-DeRozan, sono nostalgie malinconiche.


UTAH COSA FUNZIONA 

 

I 26 punti segnati da Lauri Markkanen, miglior realizzatore di partita dei suoi, ribadiscono che il finlandese è la certezze dall’attacco Jazz. Il suo avvio di stagione non è stato sui livelli di quella passata nella quale fu titolare all’All Star Game, ma poi ha saputo ribadire che quel passato prossimo non è stato un fuoco di paglia. Non è l’uomo franchigia di una squadra ambiziosa, ma è tessera preziosa del puzzle di ricostruzione, probabilmente imprescindibile. Collin Sexton era finito in naftalina, pareva destinato a un futuro da giocatore di rotazione e invece ha saputo conquistarsi un posto in quintetto e probabilmente nel futuro di franchigia. Agonista superbo, non sarà mai un regista classico, ma è cresciuto tecnicamente e nelle letture di gioco. Keyonte George, la matricola da Baylor University, chiamata numero 16 del Draft 2023, sta segnando oltre 11 punti per partita. Adesso parte in quintetto, promette bene. L’altra matricola scelta in Lotteria, Taylor Hendricks, da Central Florida (Orlando, per capirsi), da due partite è stata promossa titolare da Coach Hardy. Ancora acerbo, mostra potenziale difensivo notevole: una stoppata su Sochan contro gli Spurs è stata da fa sobbalzare sulla sedia. Imperiosa. Ah, Coach Hardy è una beautiful mind cestistica: qualche errore di inesperienza va messo in conto, ma è l’uomo giusto al posto giusto per un progetto di “ripartenza” fondato sui giovani. Ha solo 36 anni, sembra il fratello maggiore dei “suoi ragazzi”.  
 

UTAH COSA NON FUNZIONA 

 

I Jazz non avevano mai vinto dopo lo scambio col quale hanno spedito Simone Fontecchio a Detroit. L’azzurro era l’equilibratore della squadra, titolare come ala piccola, dal suo addio avevano perso cinque volte di fila. E non ci sarà certo la fila di chi fa loro i complimenti per aver battuto San Antonio, sarebbe stato semmai grave il contrario….Il quintettone con Kessler, Markkanen e John Collins assieme non ha funzionato a inizio stagione e neppure post trade di Fontecchio. Tre lunghi autentici assieme non riescono a giocare in questa Nba contemporanea. Ora con Hendricks, che al college giocava da ala grande, Utah sta cercando il giusto mezzo tra un assetto più tradizionale e quello di giganti in frontline. Vediamo se funziona, servirà una riprova, anzi una serie di verifiche, per avere un’idea definita, guardando agli scenari futuri. I Jazz in assoluto sono incagliati a metà del guado, distanti tre gare dai Warriors e tre e mezzo dai Lakers, solo 11mi nella Western Conference, difficilmente avranno chance di play-in e quindi di playoff. Insomma, competitivi sì, ma non abbastanza, ancora. Appena 25mi per rating difensivo, concedono 118.4 punti per partita: nel sistema formativo americano a troppi giovani, tra high school e università, non viene chiesto di difendere, solo di segnare punti per vendere biglietti. Devono cambiare abitudini, capire che si gioca su due metà campo e per vincere la propria conta quanto quella degli avversari.
 

SAN ANTONIO COSA FUNZIONA 

 

Wembanyana. Funziona alla grande, anche. 20.7 punti e 10.1 rimbalzi di media, con 3.3 stoppate di contorno. I numeri del francesone, 224 centimetri con una coordinazione da ballerino, sono stupefacenti e rendono comprensibile la promozione di marketing epocale che l’ha propagandato persino più di LeBron James al suo ingresso in Nba. Intimidatore al ferro, repertorio offensivo con potenziale da arma totale, ha giocato 52 delle 58 partite dei neroargento, per cui è stato anche affidabile come tenuta sinora. Soprattutto lo vogliono vedere tutti. I rating televisivi degli Spurs vanno forte, al contrario della squadra. Per numeri come questi: contro i Jazz ha subito esibito una stoppata umiliante ai danni di Collins e poi schiacciato in testa a Hendricks svitandosi e quindi galleggiando per aria. Le sue maglie si vendono come il pane e non solo in America. Poco altro tra i plus Spurs: Devin Vassell è cresciuto molto in attacco e Tre Jones è regista solido, sarebbe perfetto come cambio dalla panchina. Ma gioca titolare… 


SAN ANTONIO COSA NON FUNZIONA 

 

Niente, tranne Wembanyama. Quella maturata nella città del lago salato è l’11ma sconfitta patita nelle ultime 12 partite. Wemby gioca 28.5 minuti per partita non per capricci del coaching staff, ma perché fisicamente non è pronto per affrontarne di più. Per preservarlo e scongiurare infortuni. Magro, con il pieno di muscoli ancora da fare. Gli Spurs a parte lui sono un disastro: 27mi per rating offensivo, 24mi per quello difensivo. Non hanno abbastanza talento, anzitutto. Le 20 palle perse contro i Jazz ribadiscono la mediocrità della struttura d’attacco, i 28 punti subìti in transizione dimostrano che neppure rincorrono gli avversari, rassegnati. Coach Popovich si lamenta per la mancanza di tiratori affidabili in una Nba in cui non sono mai abbastanza. Ma la squadra l’ha fatta lui, che è anche presidente e non solo capo allenatore. La verità, per quanto scomoda, l’elefante nella stanza, è che a 75 anni probabilmente non è più l’uomo giusto per questo progetto di ricostruzione. Perché è difficile rapportarsi con giocatori che hanno 50 anni di meno, anzitutto. Difficile sopportare il logorio della logistica Nba, fatta di viaggi continui, poco tempo per allenare, poco sonno e tanto lavoro psicologico col gruppo di lavoro per chi è così avanti con gli anni. Difficile trovare motivazioni quando hai vinto 5 anelli e adesso vincere anche solo una partita è risultato da fuochi d’artificio. Gli Spurs sono 11 vinte e 47 perse, ultimi a Ovest. Pop sinora ne ha combinate di tutti i colori. E’ lesa maestà dirlo, per uno degli allenatori più vincenti della storia, ma non per questo è meno vero. Contro i Jazz non ha fatto più rientrare Keldon Johnson, sul parquet appena 4’ complessivi, dopo che aveva concesso un gioco da 4 punti nel 1° quarto. Punizioni che avevano senso nella Nba di 20 anni fa, non in questa. Non in un contesto in cui chiunque altro non chiamato Victor da inizio stagione non ne ha azzeccata mezza. Tra l’altro così rischi di perdere uno dei giocatori più presentabili, peraltro già ridimensionato con un discutibile ruolo da riserva in un contesto in cui partono in quintetto dei mediocri. Pop prima ha fatto giocare Wembanyama da ala grande, vicino a Zach Collins, poi ha cambiato idea e l’ha proposto da centro. Ha tentato un esperimento da Candid Camera con Jeremy Sochan, un lungo fatto giocare regista per la prima volta in carriera, con risultati raccapriccianti. Rischiando così di minare le certezze di un 20enne, riportato poi finalmente al ruolo di ala grande: Sochan contro i Jazz ha segnato un punto in 29’ di impiego, tirando 0/5 da campo. Tempi duri a San Antonio.

 

Riccardo Pratesi

Twitter: @rprat75


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