Los Angeles Clippers - New Orleans Pelicans: analisi della partita della notte
La miglior partita dell'anno da una parte, un incidente di percorso dall'altra. Los Angeles Clippers-New Orleans non si conclude come ci si aspettava e ci sono due prospettive di osservazione di quanto accaduto in California: per gli ospiti la speranza è che sia una scheggia di futuro, per Kawhi e compagni che sia solo una serata storta forzata da un calendario estenuante. I fatti raccontano che alla Crypto.com Arena finisce 106-117, con i Pelicans avanti dal primo canestro alla sirena finale. Zion Williamson e CJ McCollum esondano nell'ultimo quarto, segnando 13 punti ciascuno, Paul George incappa in una controprestazione da 3/15 al tiro, 0/9 nel primo tempo, per appena 7 punti. Ma c'è di più. Proviamo a scoprirlo, oltre la punta dell'iceberg.
CLIPPERS COSA VA
Anzitutto la squadra di Coach Lue era all'ottava partita in 13 giorni, la prima di fronte al proprio pubblico dopo un giro di trasferte chiuso con un eclatante 6-1 di record positivo. Insomma era una partita trappola e la stanchezza fisica e mentale ha influito su prestazione e risultato. Resta il fatto che i Clippers alla palla a due vantavano il primo record ad Ovest e che il 34-16 attuale è sontuoso nel Far West, anche se vale solo il quarto posto dietro Oklahoma City, Minnesota e Denver. Ma appunto le prime della Western Conference sono appicciate una alla targa dell'altra. Tutte lì…I Clippers non sono davanti per caso, ci sono per mille motivi, ma uno su tutti: Kawhi Leonard. Stavolta esibisce una prestazione ordinaria, da serata svogliata in ufficio, da 15 punti e 6 rimbalzi, ma questa è la stagione in cui è stato più sano, integro fisicamente, da Clipper. E non è un caso che sia la miglior stagione di squadra del suo ciclo. Leonard è nella conversazione per l'Mvp, probabilmente a oggi sul gradino più basso del podio rispetto a Jokic e Gilgeous-Alexander, con Embiid messo fuori gioco dagli infortuni. Kawhi non è appariscente, ma è fenomeno vero su entrami i lati del campo: una palla rubata trasformata in schiacciata, rigorosamente soft, lui rifugge gli effetti speciali, persino in una partita no resta il manifesto programmatico delle sue capacità. E George ovviamente non è sempre questo. Anzi, di fianco a personalità più forti (Harden e Westbrook) e giocatori migliori (Leonard) può abitualmente tirare fuori li meglio: straordinario talento "esecutore" che invece fatica a indossare i panni di trascinatore. Stavolta si vede Harden persino gettarsi per terra per una palla vagante: l'atteggiamento del Barba è quello giusto, esibito nella serata in cui si installa al 15° posto ogni epoca come uomo assist Nba superando Mo Cheeks. Il quarto moschettiere, Russell Westbrook, oltre una schiacciata col tuono non regala molto, ma pur in un ruolo che sta stretto alla sua storia e persino alla sua dimensione attuale, si dice felice. Ritrovato nelle motivazioni, di nuovo in comfort zone dopo i tempi bui ai Lakers. Poi i Clippers sono profondi come rotazione, con Powell e Mann sul perimetro e Zubac e Plumlee come lunghi che la completano in ottica playoff. E sono equilibrati: settimo miglior attacco per punti segnati (terzo per rating offensivo), tra le 30 squadre Nba, ottava difesa per punti concessi. Sfoggiano un gruppo di veterani: sono costruiti per vincere subito e hanno l'esperienza per calibrare la stagione per arrivare al meglio ai playoff. Quando ogni partita conterà per davvero.
CLIPPERS COSA NON VA
Beh, le incognite fisiche di Leonard e George, eterni acciaccati, restano lì, sottotraccia, ma presenti nella mente di tutti, l'elefante nella stanza. Hanno 32 e 33 anni, rispettivamente, non sono vecchi come giocatori, ma si sono infortunati sul più bello troppe volte di recente per cancellare il passato come fosse un file sul computer portatile da gettare nel cestino per poi subito svuotarlo. Harden e Westbrook sono logori. Il Barba sta facendo probabilmente anche meglio del previsto nella sua Los Angeles, sinora, ma c'è un motivo se Nets e 76ers se ne sono sbarazzati senza riguardi e rimpianti, di recente. Anche a Philly durante la scorsa stagione regolare non aveva fatto male, chiudendola addirittura come miglior uomo assist della lega, però poi ai playoff aveva sì esibito due "partitoni", ma anche completamente toppato troppe partite delle serie persa in Gara 7 contro Boston. Insomma in una prospettiva playoff la sua costanza di rendimento e le decisioni da iniziatore (e spesso finalizzatore) dei giochi offensivi saranno da monitorare. Per uno che si è autoproclamato "il sistema" di ogni franchigia, sarà scontato passare la palla a Leonard o George con la stagione in bilico? Westbrook poi è più utile da mentore dei giovani e da trascinatore vocale e di energia che come leader tecnico, specie in un ruolo mutilato con appena 23' a partita di impiego, nonostante gli ottimi playoff 2023. Non fa in tempo a trovare continuità e fiducia, spesso, senza un tiro affidabile, quello che non è mai riuscito a costruirsi. Va a sprazzi. E Coach Lue è tanto esaltato dai media Usa in superficie quanto criticato da chi lo conosce bene da addetto ai lavori, sottotraccia. Non è il plus raccontato sui social media, specie a livello di tattica offensiva. Si affida ai solisti. Che non dovranno pestarsi i piedi in post season, in assenza di uno spartito tecnico da seguire. L'Ovest poi è tosto per chi ha ambizioni di Finals: incrociare Phoenix, Lakers o Golden State, ora attardate in classifica, può trasformarsi in un enorme rischio già dal pronti/via.
NEW ORLEANS COSA VA
I Pels fanno innamorare a prima vista, quando giocano così. Alti e lunghi in difesa, con Ingram, Murphy, Jones e Daniels che hanno aperture alari da creature del passato vissute sulla Terra, atleti "spaventosi" come Zion e Jones, veterani saggi come McCollum e duttili come Nance. E Ingram e Williamson sono talenti tanto enigmatici quanto sconfinati. Dunque quando tutti sono in serata intonata il coro diventa da sinfonia sontuosa, da portare al Festival a Sanremo. Ingram è maestro del tiro dalla media: contro i Clippers ha segnato da quella distanza in ogni modo, in svitamento, fronte a canestro in testa ad Harden, fuori equilibrio. Williamson nell'ultimo quarto ha scavato il solco decisivo segnando sopra a Plumlee a cui pure rende oltre 10 centimetri. Quella combinazione di potenza e atletismo, di onnipotenza al ferro avversario, è introvabile altrove nel 2024. 21 punti e 10 rimbalzi, stavolta. E l'impressione che quando "ci si mette", corpo e anima, non ci siano posti di blocco per lui. Sfonda. Il record Pels non è malvagio: 30 vittorie e 21 sconfitte, vale l'attuale sesto posto a Ovest, l'ultimo che evita il Play-in. Insomma, chi tifa quelli della Big Easy avrebbe motivi legittimi per sperare in un domani vincente.
NEW ORLEANS COSA NON VA
Ma sarà la volta buona? Questo film lo abbiamo già visto. Ci era piaciuto, ci siamo "cascati". Però poi sinora è sempre mancato il lieto fine. I Pelicans, sono belli, giovani e sbarazzini. Certo. Ma diventeranno mai affidabili? Difensivamente non sono male: ottavi per rating, noni per punti concessi per partita, 112.5. Ma potrebbero fare molto di più. Con quella statura e lunghezza, con atleti debordanti. Sono come l'alunno che ha qualità, ma non si applica abbastanza, nelle parole del professore disperato che si rivolge ai genitori. E quando serve la forza bruta New Orleans di solito può contare sul lituano Valanciunas, modi da boscaiolo sotto canestro, ma che va a rimbalzi e muove la retina. A casa Clippers però si è fatto male nel 2° quarto al polpaccio destro: fuoco amico, gli è andato addosso Ingram. Non sembra grave, ci ha giocato sopra un paio di minuti prima di abbandonare il parquet, ma la sua assenza incide perché lui appunto porta sostanza a un gruppo tanto affascinante quanto platonico, sinora, a livello di intenzioni mai trasformate in risultati. La batosta patita dai Lakers nella semifinale del In Season Tournament è stata umiliante: se era un esame di maturità, e ne aveva le sembianze, ha riservato una bocciatura grande come il solco di distacco sofferto nella sconfitta 89-133 con Los Angeles, allora. Zion e Ingram avrebbero le doti atletiche, diverse, per essere rimbalzisti clamorosi, eppure Williamson ne tira giù appena 5.4 per partita e Ingram 5.1. Inconcepibile. L'impressione è che, complice una piazza più appassionata di football che di basket, le pressioni relative, ci sia poca "fame" in quel gruppo. E non parliamo della dieta di Zion. Insomma tocca fare come San Tommaso: stavolta vogliamo vedere prima di "credere" nei Pelicans. Però vincere così a casa Clippers resta un bel vedere…
Riccardo Pratesi
Twitter: @rprat75
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