Chicago Bulls - Cleveland Cavaliers: analisi della partita della notte
Chicago e Cleveland hanno storie parallele, in Nba. Quelle di due franchigie che hanno fatto quella del gioco grazie a fenomeni epocali come Michael Jordan e LeBron James e che senza di loro provano a rialzare la testa. Non è facile, racconta il loro passato prossimo. La sfida diretta allo United Center, in Illinois, l’hanno vinta i Bulls 132-123 dopo un doppio tempo supplementare. I Cavs sono più avanti nel loro progetto attuale, giovane e futurista, ma i veterani di Chicago, DeMar DeRozan e Andre Drummond, hanno fatto la differenza stavolta. La squadra di Coach Donovan ha come obiettivo conquistare i playoff passando dall’anticamera del play-in: l’esperienza dei propri solisti, va citato anche Nikola Vucevic, può essere decisiva in partite dentro/fuori. Cleveland ha mire più ambiziose: i playoff sono scontati, conterà la posizione in griglia e intendono dimostrare di saper quantomeno superare un turno. Anche per convincere Donovan Mitchell, l’uomo franchigia in scadenza di contratto nel 2025, che è nel posto giusto al momento giusto e che la corte delle ammiratrici, sono tante, New York su tutte, è solo rumore di sottofondo. Da ignorare.
CHICAGO COSA FUNZIONA
DeRozan resta un signor giocatore. Anche a 34 anni. Col suo stile vintage per atteggiamento e repertorio tecnico. Prova a esserci sempre, gioca anche acciaccato, per lui vincere di squadra conta più delle statistiche individuali. Micidiale dalla media distanza e dalla lunetta. La scorsa notte ha ripreso per i capelli una partita che sembrava persa per i Bulls proprio grazie ai tiri liberi: 17/19. Ha segnato 16 punti nei 10’ di tempi supplementari, quando contava di più. Non sarà mai un tiratore da 3 punti “automatico” e l’Nba contemporanea chiede questo, soprattutto agli esterni, ma è la coperta di Linus cui si aggrappano i Bulls ogni volta che si trovano nei guai. DeRozan non è una sorpresa, Andre Drummond sì. Il centro dei Bulls è “resuscitato”: sembrava finito a certi livelli, fuori moda in una Nba che chiede ai lunghi di più, rispetto a rimbalzi e stoppate, invece è diventato titolare per Chicago, facendo il lavoro sporto sotto canestro per Vucevic e consentendogli così di dedicarsi a quel che fa meglio: fare canestro. Contro Cleveland ha tirato giù 26 rimbalzi. Ventisei. Drummond è 34° ogni epoca per rimbalzi in Nba, a quota 10.491, cifre da Everest nella specialità, eppure sembrava diventato obsoleto, destinato a spiccioli di minuti dalla panchina. Invece ne ha giocati 36 stavolta, segnando 17 punti, incluso un canestro a rimbalzo offensivo che ha chiuso i conti in overtime. I Bulls hanno avuto qualche buono sprazzo pure dai giovani: Ayo Dosunmu ha segnato 21 punti, Coby White distribuito 12 assist. Nessuno dei due è chissà chi, ma stanno in una rotazione Nba senza sfigurare troppo. Coach Donovan dopo lo sciagurato inizio di stagione ha raddrizzato la rotta della barca Bulls. Ora deve portarla sino al porto playoff, però. Possibile sì, scontato per nulla.
CHICAGO COSA NON FUNZIONA
Le magagne sono infatti tante. Gli infortuni incidono, anzitutto. Zach LaVine (piede destro) e Pat Williams (piede sinistro) sono già fuori causa per la stagione e se nel caso della guardia ex Ucla a livello di campo può essere stato un bene, chiaramente è un doppione di DeRozan, con cui “fa scopa” sul perimetro, l’operazione a cui è stato costretto è costata ai Bulls la possibilità di scambiarlo al mercato invernale di riparazione. Stavolta mancava anche Alex Caruso (problema muscolare), la guardia paisà, asso difensivo e beniamino dei tifosi per il suo stile di gioco generoso, perché dà sempre tutto sul parquet. Più in generale l’impressione è che Chicago, che ha DeRozan in scadenza di contratto a fine stagione, sia modesta oggi e non prometta particolarmente bene per domani, non abbia in organico il talento architrave di franchigia per provare a vincere “per davvero” prima o poi. Mica un problema da poco.
CLEVELAND COSA FUNZIONA
Il record è sontuoso. 38 vittorie e 20 sconfitte, vale il secondo posto nella Eastern Conference, dietro solo a Boston. Tra l’altro maturato nonostante le prolungate assenze per infortunio di Darius Garland e Evan Mobley. Ora i Cavs sono al completo, finalmente. Tra le buone notizie c’è che Donovan Mitchell si è confermato All Star per nomina e rendimento. Sottovalutato da Jazz per Utah, è realizzatore che “sposta” come pochi altri a livello di risultati di squadra. E poi i Cavs paiono aver azzeccato la scorsa estate l’acquisto di Max Strus, certo pagato tanto, ma che in questo puzzle di squadra si sta rivelando incastro prezioso. La sua tripla da metà campo allo scadere aveva vinto ai Cavs la sfida con Dallas, a Chicago ha segnato la prima della partita ricominciando da dove aveva finito. I Cavs in assoluto difendono forte. Sono terzi per efficienza su quel lato del campo dietro solo a Minnesota e Boston, con Jarrett Allen intimidatore sotto canestro e Mobley atleta supremo che contro i Bulls ha finito al ferro in parecchie occasioni brillando in situazioni dinamiche, me che proprio difensivamente dà il suo meglio, sinora. Caris LeVert ha sfoggiato una prestazione da 15 assist, suo primato personale: sta appunto crescendo come facilitatore, lui che “nasce” come terminale offensivo. I Cavs avevano in pugno la partita: avanti, dopo la tripla di Okoro, 89-78 con 10’ da giocare nel 4° quarto e poi 114-110 con 26” rimasti nel 1° supplementare dopo l’entrata a canestro di Mitchell. La cilindrata superiore rispetto ai Bulls l’hanno ribadita, semmai poi hanno pasticciato troppo.
CLEVELAND COSA NON FUNZIONA
Mitchell stavolta non è stato brillante come nelle sue migliori serata, ha anche mancato il canestro all’ultimo secondo del primo supplementare. E i Cavs in attacco dipendono molto da lui, è il closer della squadra in volata. Non hanno chissà quali alternative, sono 15mi, a metà del gruppone Nba, per efficienza offensiva. C’è poco altro da imputare loro sinora, ragionando oltre la sconfitta di nottata, ma è chiaro che sono attesi al varco dalle avversarie, ai playoff. Lo scorso anno sono “durati” appena una serie. Pure breve, persa 4-1 con New York. E il timore che siano più squadra da maratona che da sprint, più costante che brillante, è reale. Starà a Mitchell e compagnia dimostrare il contrario, anche perché l’Est sarà tosto già dal primo turno per accoppiamenti. Scomodi per tutti, da subito.
Riccardo Pratesi
Twitter: @rprat75
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