LeBron James e i Golden State Warriors, l'NBA dell'ultimo decennio

Il primo incontro fra Lakers e Warriors, dopo le Western Conference Semi-Finals dello scorso anno non ha deluso le aspettative. Sono infatti serviti 10 minuti in più di partita, una serie infinita di giocate clutch da entrambe le parti (con le polemiche che inevitabilmente ne sono derivate) e due prestazioni leggendarie per arrivare alla fine di questo thriller hollywoodiano.

Nonostante le due squadre si presentassero a questa partita, programmata all’interno della “Rivals Week” NBA, in momenti non esattamente semplici, l’intensità mesa in campo è stata altissima fin dal primo minuto, come è tradizione da un decennio quando in campo si trovano da una parte LeBron James e dall’altra i Golden State Warriors di Stephen Curry.

Dopo 5 serie di Playoffs fra i due (più una partita di Play-In”) di cui 4 Finali, non poteva che essere questo lo scenario, e i due giocatori più iconici del mondo cestistico non hanno disatteso le aspettative.

LeBron James entra ancora una volta nella storia

A 39 anni e alla sua ventunesima stagione nella lega, LeBron James continua a sorprendere ogni notte che mette piede sul parquet, specie quando ci sono addirittura motivazioni extra a spingere il suo, già ineguagliabile, motore. Il Re chiude la sua partita con 36 punti, 20 rimbalzi e 12 assist, una stat-line spaventosa a prescindere dall’età e che entra di diritto nella storia dei Lakers.

Stiamo infatti parlando, oltre che del personale Career-High sotto i tabelloni, anche della prima partita da 30/20/10 vista da un giocatore con la maglia giallo-viola negli ultimi 48 anni, e solamente la terza in assoluto, dopo quelle messe a referto da Wilt Chamberlain ed Elgin Baylor.

Non solo questo però, James si è letteralmente preso sulle spalle la squadra dopo l’infortunio subito da Anthony Davis nelle fasi iniziali, segnando ogni canestro decisivo, e più in generale creando sostanzialmente tutto a livello offensivo per i suoi.

La prestazione di questa notte è l’ennesima prova della sua fortissima candidatura a “Clutch Player of the Year”, premio non casualmente intitolato proprio ad un Laker, culminata con i due liberi, a poco più di un secondo dal termine, per regalare la vittoria ad un ambiente che ne aveva disperatamente bisogno.

Per Los Angeles questo potrebbe essere stato un fondamentale turning-point emotivo della stagione, ed al di là di quello che accadrà da qui dalla deadline, è lecito aspettarsi che il senso di urgenza e necessità percepito in tutta la franchigia sia sempre maggiore, a meno di 3 mesi dall’inizio dei Playoffs.

Stephen Curry non basta agli Warriors

Se per gli ospiti questa potrebbe essere stata la partita del definitivo rilancio, lo stesso non si può dire per la franchigia della baia, che rischia invece di affondare ancora di più a livello emotivo, all’interno di una stagione tragica da questo punto di vista, dopo una sconfitta tanto bruciante.

L’immagine che rimane per gli Warriors è quella di Stephen Curry che, uscendo dal campo, si strappa la maglia in piena crisi nervosa: non sono bastati i suoi 46 punti, a loro volta clamorosi, per evitare la sconfitta, ed a questo punto è lecito chiedersi cosa serva a questa squadra per risalire la china dopo 2 mesi e più decisamente sotto tono.

Non sono mancati i veleni, come è normale, o perlomeno lecito, aspettarsi, considerando il tipo di finale che si è visto, e questo ancora di più potrebbe contribuire ad alimentare la frustrazione di Golden State, aggrappata alle polemiche arbitrali e che, di fatto ha buttato via, per modo dire, almeno un paio di volte la partita.

Anche per coach Kerr ormai l’unica strada percorribile, nell’ottica di rilanciare il gruppo, sembra quella del mercato, perlomeno se l’idea sia di tentare una sorta di “ultimo ballo” con questo core, scelta che, viste le recenti dichiarazioni proprio di Curry, dovrebbe essere quella messa in atto.

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